
OPERA N°14

LO ZOO DI GINO
OPERA numero 14
SEDUTE numero 111
Da giovane era durato un periodo che tra amici ci si riscontravano certe caratteristiche di sopravvalutazione della potenza dei desideri e si credeva nella virtù taumaturgica delle parole. Una tecnica megalomane per rapportarsi con il mondo esterno. Momenti di vana gloria, anche se poi ….sotto il vestito niente … Comunque bei momenti. Momenti ...in cui ti credi Dio, poi ti accontenti di essere Gesù e ti accorgi che sei solo Adamo . Ci soprannominavamo tutti Gino ,chi era Gino grande,Gino piccolo ,Gino furbo ,Gino proboscide ,Gino stallone,Gino giraffone, Gino biscione , Gino uccellone ....Non so spiegarne il motivo mahh era solo perché sognavamo in grande .... ed allora in questa opera ho pensato di creare un vero e proprio zoo di Gino
sebastiank
CRITICA d'arte dell'Anonimo del Sublime
Il post-modernismo sostiene che non esistano più le grandi verità assolute. L'autore lo conferma dicendo: "ti credi Dio... poi ti accorgi che sei solo Adamo". È il passaggio dal tragico all'ironico. Come i pittori Naïf (si pensi ad Antonio Ligabue o al Doganiere Rousseau), Sebastiank rifiuta il realismo accademico per una visione più istintiva. Mentre il Naïf puro è spesso inconsapevole, qui c'è un'auto-consapevolezza critica. L'autore sa di usare un linguaggio "semplice" per descrivere sentimenti complessi. È un "falso ingenuo" che usa la stilizzazione per rendere universale il ricordo dei suoi amici. Il Tema dell'Identità Plurale (Lo Zoo di Gino). Gino come Archetipo: La figura di "Gino" è un alter ego o un archetipo collettivo. Non è un individuo singolo, ma l'incarnazione di una fase giovanile comune, segnata dalla "sopravvalutazione della potenza dei desideri" e dalla "virtù taumaturgica delle parole". Prendere dei soprannomi da bar (Gino stallone, Gino biscione) e trasformarli in "Opera numero 14" è un atto tipicamente post-moderno. Si eleva il gergo di strada a dignità artistica, distruggendo la gerarchia tra cultura "alta" e "bassa". I Soprannomi: Lo "Zoo di Gino" è l'elenco dei soprannomi che gli amici si davano, ognuno rappresentante una sfaccettatura della personalità o del "sogno in grande": Gino grande, Gino piccolo, Gino furbo, Gino proboscide, Gino stallone, Gino giraffone, Gino biscione, Gino uccellone. Gli animali nel mosaico non sono casuali, ma sono la traduzione visiva di alcuni di questi soprannomi/identità: elefante rimanda a Gino proboscide. Il cavallo/stallone rimanda a Gino stallone. La giraffa rimanda a Gino giraffone. L'uccello rimanda a Gino uccellone. Gino biscione (serpente) potrebbe essere l'animale serpeggiante in basso. L'opera è quindi un ritratto collettivo e sdoppiato, dove l'identità non è unitaria, ma un zoo di potenzialità, vizi, e ambizioni. La Dimensione dell'Ironia e dell'Umanità. Dal Divino all'Umano: Il testo descrive il passaggio dai "Momenti... in cui ti credi Dio, poi ti accontenti di essere Gesù e ti accorgi che sei solo Adamo". C'è un'ironia amara sulla caduta delle illusioni e il ridimensionamento all'ordinaria umanità. "Lo Zoo di Gino" è il luogo dove queste illusioni (rappresentate dalla potenza e dalla magnificenza degli animali) sono conservate e messe in mostra. L'Arte Stitica come Diario: La filosofia dell'Arte Stitica, come un momento di riflessione quotidiana e liberazione espressiva, si sposa bene con il racconto di un episodio autobiografico/generazionale. L'opera diventa un diario visivo di ricordi e introspezioni."Lo Zoo di Gino" è un'opera che riesce a conciliare l'immediatezza stilistica della tecnica a mosaico (Arte Stitica) con una complessa riflessione sull'identità, sulla vanagloria giovanile e sul disincanto. Punto di Forza: La capacità dell'artista di creare un ponte diretto tra un'esperienza concettuale molto personale (il testo) e la sua rappresentazione visiva (il mosaico). L'opera non è solo un quadro, ma un manufatto narrativo. La semplicità esecutiva e la composizione rigida rischiano di sacrificare la profondità formale per la chiarezza concettuale, ma questo è un tratto distintivo e voluto della sua corrente. In sintesi, l'opera di Sebastiank è un interessante esempio di arte contemporanea che usa l'estetica popolare e la semplicità materica per veicolare un messaggio psicologico e autobiografico profondo, trasformando un gruppo di amici e i loro sogni in un bestiario simbolico. "Lo zoo di Gino" è un'opera che democratizza il sacro. Non serve scalare il Monte Olimpo per trovare il Sublime; lo si può trovare in un gruppo di amici che "sognavano in grande" in un bar di provincia. La grandezza non sta nell'elefante o nella giraffa, ma nel legame umano che quegli animali simboleggiano. L'opera manca del vigore visivo per essere terribile o divina, ma lo spirito che l'ha generata possiede quella scintilla di nobile follia necessaria alla vera arte. È un Sublime dell'umano, che non cerca di imitare il cielo, ma la grandezza (e la fragilità) dei sogni di un gruppo di uomini."